ENSLAVED - E

Nuclear Blast
Sono passati quasi trent’anni da quando i norvegesi Enslaved fecero la loro apparizione sulla scena metal mondiale. Con un inizio in pieno stile black metal, rimangono di certo un culto i loro primi demo Nema, targato 1991 e il leggendario Yggdrasil del 1992. Successivamente riuscirono a pubblicare una serie di lavori che hanno lasciato un segno indelebile nel firmamento della nera fiamma e del cosiddetto viking metal, con album impressionanti come Frost, Vikinglirg Veldi e Eld, includendo anche il grandioso Blodhemn del 1998. Da li in poi cominciarono pian piano ad allontanarsi in parte da ciò che avevano creato agli esordi, cambiando, smussando la loro personale proposta musicale. Il tutto però sempre lasciando comunque che la band fosse riconoscibilissima tra migliaia di altre band del genere. Uno dei pregi di questa formazione è che nonostante passino gli anni, riescono sempre a reinventarsi senza avere il timore di esporsi a critiche anche negative. Ma ce ne sono ben poche comunque da fargli. Ogni disco è un gioiello di estrema arte contemporanea, non si può definire in altro modo. Stesso discorso vale per il nuovo album, intitolato semplicemente E.

Brani lunghi, articolati, maestosi e atmosferici. Hanno mantenuto anche una certa cattiveria di fondo, il che in parte li rimanda al loro passato entusiasmante e malvagio. Gli Enslaved di oggi sono sempre estremi, la differenza sta nel fatto che sono cresciuti, in tutto e per tutto, raggiungendo livelli altissimi che probabilmente pochi riuscirebbero ad eguagliare in quell’ambito. La prima prova di quello che è stato appena scritto la si può rilevare nel brano iniziale, Storm Son, dieci lunghi minuti in cui i nostri freddi norvegesi danno prova di ciò che sono oggi in questo 2017. All’inzio si può sentire tutto il loro amore per il prog d’alta classe, poi a metà del brano ricordano a chi li ascolta da dove provengono con furiose parti black in pieno old style, il tutto sotto una perfetta perizia tecnica. Stupendi sono i duetti tra il growl e le clean vocals, davvero evocative in The River’s Mouth. Uno dei brani più belli e riusciti è sicuramente la terza Sacred Horse, dove fa la sua bella comparsa un hammond che rimanda ai grandi Deep Purple addirittura. Ogni singola nota è ricercata e sofferta. Dall’inizio alla fine, otto brani per un ora di pura emozione fisica e mentale. Gli Enslaved hanno confezionato l’ennesimo capolavoro. Si aspetta di vederli dal vivo, per poter rimanere ipnotizzati anche dalle loro particolari e incendiarie esibizioni. 

Voto: 10/10

Sandro Lo Castro